La luce illuminava l’intera stanza, sottili raggi di luce filtravano dalla tenda bianca della finestra di quell’uomo.
Nella lunga notte lei si era lasciata riparare le ferite, fidandosi dell’uomo che in silenzio, senza chiedere altro, ora le stava di fronte.
“Ti sono debitrice”.
“Non ho fatto nulla, se non soccorrere una persona in difficoltà”.
“Non tutti avrebbero aiutato una sconosciuta in fuga, in piena notte, intrufolatasi di nascosto in un auto lasciata aperta”.
“Le persone non sono tutte uguali, neppure gli sconosciuti”, rispose lui.
Attese qualche istante e aggiunse “Toglierai mai quel casco?”.
“Quando smetterò di fuggire da quella parte di me che non accetto per il dolore che ha causato”.
“Sai la vedo ogni volta che una superficie o un vetro, riflette il mio volto. Per non soffrire ho preso un casco e l’ho modificato per poterlo portare sempre”.
Il suo io era in cerca di spazi nuovi.
L’uomo non aggiunse altro e si diresse verso la finestra di casa e, dopo avere scostato con un gesto deciso la tenda, spalancò l’ampia finestra.
“Il giorno in cui toglierai il casco, smettendo di essere tua nemica, quel giorno ritroverai una seconda occasione e tornerai a sentire il vento, la brezza del mattino, avvolgere il tuo viso e risentirai l’odore unico dell’erba bagnata pungere il tuo naso”. “E …”.
Non aveva nemmeno finito di parlare quando sentì un rumore metallico alle sue spalle, lo stesso della notte prima, che lo fece voltare di scatto.
L’Argonauta era lì, in piedi, a pochi passi da lui con il suo casco sottobraccio.
L’uomo non disse nulla, la donna inspirò profondamente la brezza umida a occhi chiusi.
“Sono stanca di fare la guerra a me stessa” disse e sorrise.